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Missioni umanitarie internazionali: gli infermieri

Gli infermieri che prendono parte a missioni umanitarie con le ong, cioè le organizzazioni non governative, nella maggior parte dei casi sono destinati a Paesi che devono fare i conti con una vasta gamma di situazioni di emergenza, o comunque con varie tipologie di crisi che sono dovute a conflitti bellici o a catastrofi naturali. Uno scenario tipico, per esempio, è quello dei campi profughi, in cui le persone devono subire le conseguenze negative e drammatiche della povertà più dura, delle malattie e, ovviamente, della fame. Ecco, dunque, che gli operatori umanitari che partono in missione devono essere consapevoli di ciò che troveranno una volta che giungeranno a destinazione: sfide molto impegnative, sia dal punto di vista fisico che sul piano emotivo, a causa delle quali si ritroveranno ad accumulare molto stress, a livelli davvero intensi.

I compiti di un infermiere

In presenza di condizioni simili, che per certi versi possono essere definite addirittura proibitive, gli infermieri sono chiamati a svolgere il proprio compito nella massima autonomia. Si tratta, infatti, di contesti in cui è di fondamentale importanza una gestione ottimale dell’assistenza alla persona, che non di rado deve essere assicurata anche in condizioni molto critiche. Di certo, da un punto di vista professionale, e quindi anche dal lato umano, la partecipazione a una missione in una zona con un rischio di povertà elevato è alquanto gratificante; lo stesso dicasi per le aree in cui a dominare sono la fame e la guerra.

Gli operatori sanitari e la precarietà dei mezzi

Chi volesse sostenere a livello economico il lavoro compiuto dagli operatori sanitari e dai volontari in questi contesti può farlo cliccando qui. C’è chi ha parlato di veri e propri angeli senza frontiere per definire gli infermieri e in generale tutti gli operatori del comparto sanitario che partecipano alle missioni umanitarie: non è una definizione eccessiva, se si pensa che essi si ritrovano a lavorare in situazioni in cui la loro stessa vita è in pericolo. La precarietà dei mezzi è la regola e non l’eccezione, e ogni giorno è sinonimo di lotta e sfide impegnative. Chi sceglie di dedicare la propria esistenza agli altri e a una missione di questo tipo, al di là della geografia e delle culture diverse, lo fa solo per amore nei confronti del prossimo, ma anche perché nutre una vera passione per il lavoro che svolge.

Che cosa succede durante una missione umanitaria

Gli infermieri che sono impegnati in una missione umanitaria lavorano, a tutte le ore del giorno e della notte, con il solo obiettivo di provare a salvare delle vite umane. Si tratta di mettersi in gioco in scenari in cui a dominare sono la guerra e le epidemie, magari in zone che sono state colpite da disastri naturali. Quella che viene compiuta è una scelta di vita più che importante, quasi radicale, poiché si decide di mettere sé stessi in secondo piano per focalizzarsi soprattutto sugli altri.

Come approcciarsi a una missione umanitaria

Le varie realtà che sono impegnate in loco ovviamente garantiscono agli infermieri una formazione specifica, che riguarda tra l’altro la cultura e le abitudini della popolazione locale. Si tratta di un approccio di fondamentale importanza per poter garantire alle persone del posto un’assistenza completa ed efficace, rispettosa delle etnie e delle tradizioni. Al di là delle competenze di carattere sanitario, quindi, gli infermieri sono chiamati a sviluppare anche la propria conoscenza culturale, la quale si basa sul riconoscimento e sulla corretta interpretazione delle norme, delle pratiche e dei simboli che sono correlate a una particolare società. Così è possibile assicurare trattamenti e cure competenti e appropriate dal punto di vista culturale. Il lavoro in missione, comunque, per alcuni operatori sanitari può costituire a tutti gli effetti un lavoro, alla base del quale non ci sono solo ideali umanitari e spirito filantropico, ma la legittima ambizione di avere uno stipendio e di far carriera.

I cambiamenti umani e professionali

Appare evidente che chiunque prenda parte a una missione umanitaria si ritrova ad affrontare cambiamenti molto significativi, sia a livello umano che sul piano professionale. Diversi studi hanno, non a caso, preso in esame il cambiamento di personalità che si riscontra fra gli operatori umanitari che tornano a casa dopo aver preso parte a una missione. Sulla base dei risultati, si nota che i partecipanti hanno vissuto manifestazioni come ansia e depressione, con simultanee perdite multiple. Inoltre, vari operatori hanno messo in evidenza diverse condizioni di fragilità, sotto forma di crisi di adattamento, difficoltà relazionali e problemi di identità personale. D’altro canto, ci sono operatori che invece, grazie alle loro condotte flessibili, hanno mostrato una significativa capacità di resilienza, grazie a cui sono stati in grado di ridimensionare il livello di gravità di episodi ed eventi specifici.